La Domesticazione del lupo

Effetti morfologici e comportamentali della domesticazione 

Quello tra uomo e cane è oggi un legame tanto forte quanto complesso. Fa riflettere il fatto che due specie animali così diverse tra loro siano riuscite a creare un rapporto emozionale di tale entità, che alcuni studiosi, grazie a comprovate ricerche scientifiche, lo definiscono al pari della relazione di attaccamento madre-figlio. Questo rapporto però non è sempre stato così, ma ha subìto una lenta ed inarrestabile evoluzione partendo dall’animale lupo fino ad arrivare al cane, attraverso un processo che si perde nella notte dei tempi, chiamato DOMESTICAZIONE.

Ad oggi possiamo affermare che il lupo è divenuto cane in un processo di avvicinamento reciproco in una vera e propria evoluzione di due specie che hanno vissuto affiancate per migliaia di anni collaborando e traendo vantaggio l’una dall’altra. Ma durante questo lunghissimo processo di avvicinamento e integrazione l’animale ha subito una continua e netta trasformazione rispetto al suo antenato.

Teniamo innanzitutto presente che le prime modificazioni morfologiche sono comparse molto tempo dopo rispetto a quelle relative al temperamento. Infatti per moltissime generazioni i lupi docili e adattati all’uomo, i così detti proto-cani, non erano fisicamente distinguibili da quelli completamente selvatici. E’ interessante notare che i primi cambiamenti nella fisicità che denotano l’inizio del processo di domesticazione, non vennero scelti e apportati dall’uomo, ma si verificarono inaspettatamente come conseguenza di una selezione mirata solo alla funzione del cane. Questi cambiamenti sono rappresentati da una riduzione della taglia corporea e modifiche visibili soprattutto nel cranio dell’animale come: accorciamento del muso, comparsa dello stop naso frontale, profilo mandibolare convesso anziché rettilineo del lupo, posizione degli occhi più frontali e di forma più arrotondata e la bolla timpanica più piccola. La riduzione della dimensione dei denti avvenne in una fase successiva all’accorciamento del muso, ciò provocò un affollamento dentale visibile nei crani fossili dei primissimi cani, caratteristica utile agli studiosi per distinguere questi resti da quelli dei lupi. Altra modifica fisica è stata la diminuzione complessiva della scatola cranica del 20- 30%. A questo dato si accompagna anche una riduzione delle dimensioni del cervello in particolare delle aree sensitive, acustiche ed olfattive. La riduzione delle percezioni sensoriali è tipica di tutti gli animali addomesticati dall’uomo, ed è probabilmente una diretta conseguenza del fatto che l’animale selvatico vive più intensamente e pericolosamente la sua vita, tanto da necessitare di organi sensoriali altamente sviluppati e reattivi, sia se parliamo di preda che di predatore, come nel nostro caso.

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Attitude dog nasce dalla realizzazione di un sogno iniziato da lunghi percorsi di studio, pratica e sacrifici che mi hanno messo più volte  alla prova. Ho sempre avuto molto chiaro il traguardo da raggiungere perciò ho sempre dato il massimo, nonostante la consapevolezza che le mie ambizioni sono sempre state molto alte. Dopo numerose idee, disegni e sogni notturni alla fine sono arrivata a mettere realmente in pratica gli obiettivi che già da tempo mi ero prefissata. L’armonia e la passione che richiede questo lavoro non si apprende dai libri, bensì dall’amore, dalla sintonia e dall’empatia che si prova con gli animali con cui si lavora.

Per quanto riguarda invece gli effetti comportamentali della selezione fatta dall’uomo possiamo fare le seguenti riflessioni: i lupi da cui derivarono i primi animali domestici possedevano a priori una certa dose di docilità e mitezza insita nel carattere, una elevata soglia di paura e la scarsa tendenza a fuggire dalle nuove situazioni, doti che gli permisero di avvicinarsi all’uomo. Nel corso dell’ontogenesi si può chiaramente notare quanto la struttura gerarchica e sociale tipica del branco di lupi sia stata modificata dalla selezione artificiale. Il cane con l’intervento umano ha perso molti dei comportamenti radicati nel lupo. E’ interessante lo studio condotto nel 1984 da Luigi Boitani, etologo e professore alla Sapienza di Roma, su una popolazione di cani domestici e randagi per tre anni che metteva a confronto i risultati ottenuti con l’organizzazione sociale del branco di lupo. E’ emerso che l’attività predatoria nei cani era assente (si nutrivano di carogne e rifiuti); tutte le femmine del gruppo si accoppiavano, a differenza dei lupi in cui si riproduce solo la coppia Alfa; erano presenti anche differenze nelle relazioni gerarchiche, poiché i cani tendevano a creare rapporti e legami che duravano tutta la vita dei soggetti; le cure parentali sono risultate organizzate diversamente, infatti nel branco di cani monitorati, i cuccioli venivano accuditi solo dalla madre e non era coadiuvata da altri membri del gruppo come invece avviene nel lupo. Con il ritorno del calore molti cuccioli potevano morire durante lo svezzamento, a causa della riduzione dell’impulso epimeletico della madre. Possiamo quindi rilevare che i cani non formano branchi ma gruppi con regole sociali precise ma differenti dai lupi, non rispecchiando perciò il loro modello gerarchico e sociale.

Parlando ancora di atteggiamenti e comportamenti che contraddistinguono le due razze notiamo che il cane ha sviluppato una vocalità più marcata attraverso l’abbaio, probabilmente anche perché con la domesticazione ha subìto un impoverimento della gestualità e della mimica, ossia ha perso quella grande capacità comunicativa che contraddistingue il lupo. Anche Coppinger osservò come nel cane siano presenti meno segnali intraspecifici rispetto al lupo adulto. Altri studiosi (Wickens e Goodwin) hanno rilevato che quanto più una razza è morfologicamente simile al lupo maggiore e articolata tanto più la sua capacità comunicativa si avvicinerà al suo progenitore. Di contro la domesticazione ha donato al cane una maggiore capacità relazionale con l’uomo (intelligenza sociale) in particolare ha sviluppato l’attitudine a volgere lo sguardo al proprietario e di comprendere i suoi segnali gestuali (più spiccata in certe razze piuttosto che in altre). Mediante esperimenti è stato provato che i cani nella corretta interpretazione dei gesti comunicativi umani superano altre specie animali come gli scimpanzé ed i lupi. L’esperimento consisteva nel nascondere un premio alimentare sotto uno dei diversi contenitori posizionati in diversi punti della stanza. Il ricercatore volge la testa e lo sguardo verso il contenitore con il premio per aiutare il soggetto a trovarlo. E’ sorprendente come gli scimpanzé, animali abilissimi nella soluzione di vari quesiti, mostrino scarsa capacità nell’utilizzare la comunicazione gestuale umana per risolvere questo problema. Al contrario il cane riesce a trovare facilmente il contenitore con la ricompensa dimostrando di essere dotato di una grande abilità nell’utilizzare le informazioni fornite dal ricercatore.

Dal punto di vista fisiologico nel cane si osserva un’anticipazione del periodo di pubertà (intorno agli 7-8 mesi) che permette un accesso alla riproduzione più precoce rispetto al lupo, che invece diviene sessualmente maturo a circa due anni di età. Abbiamo quindi una riduzione del periodo di crescita del cane e uno sviluppo precoce. Un’interessante teoria può spiegare questa situazione. Secondo la Teoria della Neotenia il cane mantiene in età adulta alcune delle caratteristiche infantili. I cani sarebbero quindi dei lupi neotenizzati avendo conservato l’aspetto più simile al cucciolo di lupo come occhi rotondeggianti, musi più corti, orecchie pendenti. Anche molti dei comportamenti del cane ci ricordano il cucciolo di lupo, pensiamo per esempio all’abbaio, allo scodinzolio, oppure al fatto che il cane mette in atto solo parzialmente il repertorio degli schemi comportamentali del lupo adulto. Il Border Collie per esempio, durante il suo lavoro con le pecore, esprime lo schema motorio della caccia senza però completarlo con l’uccisione. Lo stesso comportamento lo si può osservare nel cane da caccia che blocca il suo modello predatorio prima della soppressione della preda. Possiamo quindi affermare che la domesticazione ha portato una sorta di “regressione” delle caratteristiche morfologiche e comportamentali dell’adulto verso aspetti infantili/giovanili, che successivamente l’uomo con la selezione delle razze ha amplificato e talvolta estremizzato.

Un esperimento effettuato negli anni ’50-’60 dal genetista russo Dimitri Belyaev dimostra non solo come si sarebbero svolti gli eventi nel discusso e controverso processo di domesticazione ma anche ciò che abbiamo appena illustrato. Belyaev iniziò un progetto su un gruppo di 130 volpi argentate da pelliccia, specie che difficilmente si accoppiava in cattività a causa del carattere poco mansueto. Il suo scopo era quello di ottenere un ceppo più docile. Si chiese se la docilità fosse un tratto ereditario, così ad ogni generazione fece accoppiare solo gli esemplari meno aggressivi, e più socievoli verso l’uomo. Dopo appena sei generazioni nacquero volpi che si comportavano come cani: erano particolarmente amichevoli, scodinzolavano alla vista dei ricercatori, abbaiavano. Dagli esami emersero cambiamenti nel loro sistema ormonale e dei neurotrasmettitori: aumento del livello di serotonina (che regola l’aggressività), calo dell’adrenalina, concentrazioni dimezzate dei corticosteroidi (risposta allo stress). Attraverso la sola selezione per docilità si ebbero anche cambiamenti morfologici involontari e non ricercati, infatti molti geni che regolano il comportamento hanno anche effetti sull’apparato endocrino e sul sistema nervoso. Nelle generazioni seguenti nacquero quindi volpi con pelo pigmentato, orecchie piegate anziché dritte, denti e musi più corti, code più corte ed arricciate. Anche lo sviluppo fisiologico delle volpi domestiche era diverso da quello delle volpi selvatiche: presentavano infatti una maturità sessuale anticipata, due calori all’anno anziché uno; aumento del numero di cuccioli nati; apertura degli occhi e reazione agli stimoli anticipate; comparsa della paura alla nona settimana, successiva rispetto alle volpi non selezionate; ciò determina una finestra di socializzazione più ampia.

Dobbiamo in ultima analisi dire che il risultato di questa selezione ha prodotto una volpe che per molti aspetti ha mantenuto caratteristiche tipiche dello stadio infantile sia fisicamente che caratterialmente, basti pensare alla giocosità che è estremamente tipica del cucciolo. In conclusione, il programma di Belyaev che proseguì per 35 generazioni, costituisce una prova soddisfacente della Teoria Neotenica sulla domesticazione.

Cassandra Conforti

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